Estate 2020. Le restrizioni anti COVID si sono allentate, ma quale momento più giusto per affrontare l'impresa delle imprese: ANDARE AL MARE A PIEDI.
Da tempo ormai stavamo sognando di partire a piedi da casa, dalla nostra Val Tidone con zaino in spalla e raggiungere la costa Tirrenica, il mare della nostra infanzia.
Come farlo? Quale itinerario seguire?
Il percorso era lì, sotto i nostri occhi, mentre guardavamo cartine e Google maps.
Via degli Abati fino a Pontremoli e poi giù con la Francigena, fino a Massa, fino al mare.
Non proprio uno scherzetto: un totale di circa 250 km con i primi 160 km di Via degli Abati, anche nota come la Francigena di montagna. Un percorso ugualmente antico e ufficialmente annoverato tra le Vie Francigene, più selvaggio, con meno servizi lungo il percorso e con un dislivello decisamente più impegnativo.
Una volta raggiunta Pontremoli con altre 3 tappe di Via Francigena (Pontremoli-Aulla-Sarzana) saremmo arrivati a Massa e al mare.
Tappa 1 da Caminata a Bobbio Tappa 2 da Bobbio a Nicelli Tappa 3 da Nicelli a Groppallo Tappa 4 da Groppallo a Bardi Tappa 5 da Bardi a Borgotaro Tappa 6 da Borgotaro a Pontremoli Tappa 7 da Pontremoli a Aulla Tappa 8 da Aulla a Sarzana Tappa 9 da Sarzana a Massa e al mare --- --- --- --- --- --- ---
TAPPA 6
All'Albergo Firenze, dopo una mangiata di pappardelle con "gremolada" di porcini (a Borgotaro sono d'obbligo!) e una bottiglia di rosso dormiamo di sasso. La sveglia non è prestissimo, ci attardiamo prima con una colazione in esterna e poi alla ricerca del timbro ufficiale della Via degli Abati che viene messo dall'ufficio turistico e che apre alle 9.00. Col senno di poi quello dell'Albergo Firenze sarebbe andato benissimo. Aggiungiamoci anche un po' di chiacchiere extra con la signora degli alimentari e siamo già ampiamente in ritardo sulla tabella di marcia. Il Polo, rigoroso e metodico, una figura fondamentale nella gestione della logistica, è spazientito. Ci attende una tappa faraonica, 33 km con dislivello di nuovo oltre 1200 metri, e mi accorgo che stavolta ha ragione, abbiamo cazzeggiato troppo per causa mia.
Usciamo dal paese attraversando il Taro e mi coglie un pensiero bizzarro. Da quando sono piccolo che percorro l'autostrada della Cisa per andare al mare in Versilia. L'abbiamo fatta decine di volte anche con gli amici. Mai avrei pensato di arrivar fin qui a piedi e soprattutto mai avrei immaginato la quantità di luoghi meravigliosi che ci si perde viaggiando dal punto A al punto B in autostrada. La lentezza del passo fonde magicamente il mezzo di trasporto col tragitto stesso, incarnando la quintessenza del Viaggio.
Stiamo salendo ora sulle prime alture che costeggiano la sponda sinistra del torrente Tarodine, quello che un tempo segnava il confine tra territorio dei Malaspina (signori della Lunigiana) e del Papato. Siamo nei luoghi dove si trovano i migliori porcini d'Italia, lo abbiamo nuovamente potuto verificare ieri sera all'Ustaria dal Mrcà.
Tra saliscendi arriviamo ora alla frazione di San Vincenzo dove stiamo per fare un incontro che cambierà le sorti della tappa e creare una frattura (!) tra i due camminatori.
Passando tra le case di San Vincenzo ci salutano un signore e una signora che stavano chiacchierando. La signora si vede che ha voglia di interagire e io ci sguazzo in queste situazioni. Ci chiede di dove siamo e alla risposta "di Piacenza", la signora (Bruna) lancia un urlo, con battito di mani a schiocco e posa con sguardo al cielo. Ci parla in dialetto e ci dice che è originaria di San Vincenzo ma ha vissuto tutta la vita alla Besurica (Piacenza). In due parole scopriamo addirittura di conoscere suo figlio. Bon, è finita, le speranze di ripartire velocemente sono evaporate e il Polo mi lancia occhiate eloquenti. Ci invita a casa, ci mostra tutto: foto ricordo dei viandanti, librone del punto-tappa in piena regola con dediche, piante, mele essiccate. La signora Bruna è gentilissima, ma è difficile trovare il varco giusto nella sua parlantina a mitraglia per dirle che dobbiamo ripartire. Nulla non ne vuole sapere. Ci porta a vedere la scalinata ricoperta di sassi che fa firmare a chiunque passa, ci piazza in mano due pietre intonse e pennarelli e vuole a tutti i costi la nostra dedica. Non possiamo sottrarci. Il Polo è visibilmente scosso, ha poca inventiva, non sa che scrivere. La Bruna incalza "dai dai, scrivi!". Escono le foto delle nipoti e troviamo uno spiraglio per dire alla Bruna che dobbiamo ripartire e che la prossima volta torniamo a conoscere le nipoti! Lei ci marca comunque stretto e ci accompagna fino alla strada facendoci promettere di mandarle le foto fatte assieme.
E' fatta, lasciamo l'inossidabile Bruna che onestamente è una persona squisita di una vitalità incredibile. Ma calcolate un extra 40 minuti se volete fermarvi a salutarla.
Ripartiamo in salita sulla provinciale che porta al Passo del Brattello. Il Polo è livido e muto a causa di ritardi e imprevisti continui, mentre ci restano ancora oltre 25 km da fare e tanto dislivello.
Questa tappa e in generale tutta la Via degli Abati non pullulano di fontane o punti acqua lungo il percorso. Lasciamo la provinciale per il Passo del Brattello e giunti a Valdena troviamo la fontanella a secco. Chiediamo a una signora sul balcone se c'è acqua e lei gentilmente ci fa lascia riempire le borracce dal suo pozzetto. Anche se scopriamo che appena più sopra nei pressi della chiesa la fontanella funziona alla grande.
Oltre l'abitato si entra nel bosco e si affronta ora la salita a tratti decisa che porta da 700 a oltre 1000 metri del Passo del Borgallo. Il bosco deciduo nei pressi del passo muta improvvisamente lasciando il posto alle conifere (opera di rimboschimento della prima metà del 900). Alcuni cartelli della forestale portano lo stemma della Regione Toscana, il Polo ed io ci guardiamo, ora che la salita spiana e i malumori della mattinata vengono messi da parte, sentiamo di essere in un altro momento topico della Via. Acceleriamo, in trance agonistica e quando arriviamo al passo urliamo: "Siamo in Toscana, cazzo!".
Il passo è minuscolo, non carrabile e lo scorcio che si apre mostra una vallata remota e boschiva. Il pensiero di aver davanti la Toscana è elettrizzante, ed il feeling è particolarissimo. Si ha la sensazione di essere veramente su sentieri millenari, sui quali generazioni di camminatori sono transitati, ognuno col suo fardello (fisico ed emotivo).
Al passo si incrocia il Sentiero Italia (una cosuccia come 7.000 km lungo tutto lo Stivale), che preso a sinistra porta al Passo del Brattello (il carrabile gemello del Borgallo), preso verso destra invece coincide col percorso della Via degli Abati per il tratto di spartiacque meraviglioso che ci accingiamo a percorrere. Si sale leggermente dal passo sulla dorsale che divide le due regioni, in quello che è un altro dei tratti più affascinanti della Via (guardate le foto, anzi: FATELO!). A destra l'Emilia, con il mosaico di campi coltivati e piccoli villaggi. A sinistra la Toscana, un oceano verde di colline, dove i segni di vita vanno cercati strizzando gli occhi, e i remotissimi gruppi di case emergono come isole senza apparente collegamento.
Lasciamo il Sentiero Italia (Arrivederla SI, è stato breve ma intenso) che prosegue dritto verso il Passo Due Santi, mentre la Via piega verso Sud-Ovest e Sud in falsopiano. Il bosco contorna il fianco del Monte Canoso e si arriva a una zona dove si vedono capanne in pietra diroccate (nuovamente un luogo molto da Signore degli Anelli) e poco oltre siamo al bivio per la cascata di Farfarà (detta della Pisciarotta). La deviazione costa solo 10 min extra e il Polo concede il suo assenso. Ci inerpichiamo trovando un primo punto panoramico sulla cascata (si vede da lontano), proviamo a salire oltre credendo di poter arrivarci quanto meno sotto ma il sentiero muore nel nulla. Un po' dubbiosi torniamo al sentiero principale, ci aspettavamo qualcosa in più.
In un paio di km di piano siamo al Lago Verde sulle cui sponde attrezzate facciamo una sosta. Si scende da qui su una carrareccia molto ampia che permette a villeggianti e turisti di raggiungere il lago. 4 km tra tornanti e discesa morbida che si fa a passo svelto e ci troviamo nell'abitato di Cervara. Cervara è un luogo storico per la presenza accertata di un ostello, chiamato Nostra Signora della Cervara, istituito in epoca longobarda dai monaci di Bobbio per assistere i viandanti.
La particolarità di questo luogo è legata anche alla tradizione dei “facion”, raffigurazioni antropomorfe scolpite nella pietra con probabile funzione apotropaica (ANTISFIGA!) la cui origine si perde nei secoli. Collocati in posizione ben visibile sulle facciate delle case, sopra gli architravi delle porte o gli stipiti delle finestre, dovevano tenere lontano gli spiriti del male. Diffusi in tutto il territorio e anche nelle vallate vicine, qui a Cervara hanno dimensioni non comuni e fattezze non consuete, a volte inquietanti!
Preso dal raptus incontrollabile di fotografare tutti i FACION che trovavo, mi attardo. Ecco allora che il mio compare esasperato non ce la fa più ed esplode: "Mancano 15 kilometri, sono le 3, cazzo continui a far foto di porte?!?". Io mi infiammo, gli rispondo per le rime e finisce in un serrato mutismo. Lo supero ed inizio a camminare veloce. Lui mi sta dietro, tiene il passo, io accelero. Per circa un'ora l'astio la fa da padrone, stiamo praticamente volando anche in salita, senza dire una parola, muti e incazzosi. Ora col senno di poi ridiamo a crepapelle, ma è stato un bell'esempio di cosa può succedere durante un cammino in una giornata NO. Per un'ora e più bruciamo le tappe immersi nel bosco e segniamo tempi da record (in alcuni tratti scendiamo a 8 min/km). Si iniziano a sentire boati in lontananza, e tra le fronde fa capolino la Autocamionale della Cisa.
Sbuchiamo dal bosco e siamo sopra a uno dei tunnel. Mi fermo di botto. Sono cotto, i piedi sono due bistecche, ho il fiato corto. Mi giro. Il Polo accusa anche lui la tirata. Mi guarda di rimando. "Porco giuda, non hai mollato..." gli faccio.
"Pensavi di seccarmi eh? No che non ho mollato cazzo". Scoppiamo a ridere e finisce a pacche sulla spalla mentre tiriamo il fiato. Da qui si scende passando tra le case di Vignola, con un tratto micidiale di discesa su cemento che distrugge il legamento, già "filo di Scozia".
Si passa sotto alla ferrovia, ancora un tratto ora finalmente in piano, un curvone e si entra in quel rettilineo infinito di 3 km che porta a Pontremoli. Zoppicanti, malmessi, a tratti delirando ci trasciniamo lungo questo tratto finale che sembra non terminare più. Arriviamo dai Cappuccini che il sole sta calando.
La tappa è stata brutale, tra le più sfidanti della Via, anche in termini mentali, ma ce l'abbiamo fatta.
Siamo al termine della Via degli Abati, un'impresa sulla quale avevamo sempre solo fantasticato. Abbiamo incrociato pochissime persone che percorrevano questa antica via, forse meno rinomata o conosciuta di altre, ma sicuramente di bellezza rara. Ve la consiglio assolutamente!
Ora ci attendono 3 tappe della Francigena, non è ancora finita, ma sentiamo aria di mare e nonostante ci siano ancora 90 km, sembra lo scoglio più duro sia passato.
I Cappuccini di Pontremoli sono attrezzatissimi, un ostello pulitissimo e dotato di tutto il necessario. Una doccia, una generosa spalmata di Sua Maestà - il PREP, e siamo veramente rinati. Finalmente ci abbandoniamo sulle sedie esterne del Bar Luciano, dal quale è TASSATIVO ordinare e provare il "Bianco Oro", l'aperitivo di sua invenzione. Alla Trattoria la Norina arriviamo con intenzioni bellicose, e prendiamo d'antipasto un bis di testaroli al pesto. La proprietaria era al settimo cielo.
Noi anche.
PERNOTTAMENTO: Convento Cappuccini, voto ↑↑
CENA: Trattoria La Norina, voto ↑↑
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